13 novembre 2017, l’Italia viene ufficialmente esclusa dai Mondiali in Russia del 2018, a conclusione di un ciclo, guidato dal mister Gian Piero Ventura, incapace di esprimersi appieno e di ripetere quanto ben fatto negli anni precedenti.
È ineffabile e indescrivibile la sensazione che ciascun italiano provò nel proprio animo quella triste sera al termine di Italia-Svezia, conclusasi con uno scialbo e terrificante 0 a 0. La possibilità di non qualificarsi proprio, di certo, non aveva mai sfiorato i tifosi italiani, consapevoli delle qualità tecniche dei propri calciatori e della netta superiorità rispetto agli avversari modesti prima incontrati. Lungi da noi esprimere ulteriori critiche, giudizi od osservazioni, quella fatidica notte, è indubbio ammetterlo, rappresentò la fine di un ciclo vincente, ai suoi tempi, animato da alcuni campioni d’età avanzata che, dopo la disfatta, decisero di abbandonare la selezione Nazionale. Un momento buio, grigio, fosco, la caduta di un gigante, ma con i piedi d’argilla, una delusione talmente forte da destabilizzare ambiente e mondo del calcio; eppure condizione necessaria e sufficiente per ripartire e comprendere gli esiti futuri.
In mezzo al panico asfissiante e alla mancata comprensione di tale possibile conclusione si innestarono dubbi e perplessità talmente sinuosi e contorti da mandare in tilt meccanismi mentali e convinzioni considerate indissolubili. L’Italia era caduta in ginocchio, prostrata di fronte ai propri problemi, era giunto il momento di svoltare pagina, demolire e ricostruire.
14 maggio 2018, Roberto Mancini, ancora legato contrattualmente allo Zenit, viene scelto come prossimo commissario tecnico dell’Italia. Considerato un semplice traghettatore con l’obiettivo di, per così dire, salvare il salvabile, la storia riserverà un altro incarico per lui e un destino che pochi avrebbero immaginato (ha appena rinnovato il suo contratto fino al 2026). L’approdo dell’ex tecnico del Manchester City incuriosisce un ambiente ancora occupato a curare le proprie ferite, viene accostato a un progetto di rifondazione e rivoluzione che, a oggi si può dire, sarebbe stata totale e di dimensioni inimmaginabili. Per poter allenare una selezione Nazionale, dato il limitato tempo a disposizione, è necessario amalgamare gli interpreti e i membri, al fine di creare intesa, affinità e fratellanza, in grado di andare ben oltre i semplici insegnamenti tecnici. Dopodiché, Mancini docet, è corretto occuparsi dell’impostazione tattica della squadra, valorizzando ogni elemento e aiutandolo a rendere meglio in funzione del gioco del gruppo. Dal 4-2-4 si passa a un banale 4-3-3, ma la missione ha appena avuto inizio.
Il ct inizia a convocare calciatori d’esperienza ma in piena maturità calcistica e giovani di belle speranza, messisi in mostra con i club d’appartenenza e in possesso di qualità superiori all’ordinario. Molti elementi della Vecchia Guardia, sebbene ancora in grado di fare la differenza, non vengono neppure considerati, l’obiettivo da raggiungere è chiaro e definito nella mente di mister e staff: rifondare un gruppo nuovo con idee del tutto nuove.
Finora Roberto Mancini ha utilizzato ben 67 calciatori dal suo arrivo nel 2018 e, accorgimento ancor più clamoroso, Giacomo Raspadori, aggregato ai 26 convocati per l’impegno di EURO 2020, ha rappresentato il 35esimo esordiente della sua era. Questi semplici dati sono stati inseriti per fornire maggiore chiarezza circa il coinvolgimento e l’attenzione dell’allenatore verso i calciatori italiani, sia quelli militanti in patria sia quelli residenti all’estero, tanto da prender in considerazione non solo l’esperienza maturata e l’impegno con la Nazionale ma anche, e soprattutto, il merito e le capacità, andando ben oltre i semplici documenti di identità. L’ex tecnico dell’Inter ha riportato energia, serenità, sogni e speranze, accumulando ben 28 risultati utili consecutivi, superato Lippi (25) e rivolto a Pozzo (30). L’Italia ha ripreso a giocare a calcio, incanta ed entusiasma, frantuma ogni possibile record e ha decisamente mostrato superiorità contro una temibile Turchia (3-0). Non resta che attendere e continuare a tifare.
La Nazionale italiana è votata all’attacco, pressa, recupera palloni, imposta, crea, concede ai calciatori di appigliarsi alla fantasia e di realizzare vere e proprie magie tecniche e, in tutto questo, ha una solidità difensiva riguardevole. Sebbene infatti l’Italia tenda a incidere e a pungere dopo decine di minuti, tempo necessario a imbrigliare il gioco e assumerne le redini, ha grande capacità di coprire il campo e di costringere gli avversari alla difesa.
Il banale 4-3-3 di Mancini, in verità, nasconde accorgimenti tattici di grande profondità: l’impostazione dal basso è condotta da solo 3 difensori (il terzino sinistro, infatti, più abile nell’attacco, sale lungo fascia aiutando Insigne e reparto offensivo attraverso incursioni, sovrapposizioni e assist). Il centrocampo, oltre ad avere un regista in grado di disegnare calcio e di vedere traiettorie in punti chiusi, è il reparto di maggior qualità e quantità, tanto da presentare interpreti abili nell’aggirare il pressing avversario e capaci di inserirsi nell’area di rigore, mostrando una maggior vena realizzativa rispetto a quella dell’attacco (centravanti soprattutto) costantemente pressato e raddoppiato. Il gioco della Nazionale sfrutta la qualità sulle fasce con Berardi, Chiesa, Bernardeschi, Insigne che, in qualunque momento, accendendosi, sono in grado di saltare l’uomo e piazzare il tiro negli angoli più reconditi della porta avversaria. In tutto ciò le prime punte si sacrificano per la squadra, agevolando inserimenti, passaggi, verticalizzazioni e geometrie al fine di far segnare i propri compagni, talvolta anche col rischio di rimanere a secco.