In un’intervista esclusiva, l’ex centrocampista paraguayano di Porto e Reggina ha parlato del suo passato da calciatore, soffermandosi sull’esperienza in Calabria, esprimendo anche un sogno per la sua carriera da allenatore.
Nel mondo del calcio di oggi, sembra esserci sempre meno spazio per i lati più romantici e quei veri e propri “rapporti d’amore” che caratterizzavano il football di un tempo. Tuttavia, c’è una storia che merita di essere raccontata, e parla di un vero e proprio legame d’amore tra un giocatore e la città in cui ha giocato. E’ il caso di Carlos Humberto Paredes, ex centrocampista paraguayano che ha militato nel nostro campionato con la maglia della Reggina dal 2002 al 2006, nonché ex giocatore del Porto di Josè Mourinho. Una storia che parte da lontano, dai primi calci al pallone con la maglia dell’Olimpia, club che ha permesso a Carlos di farsi conoscere e notare dalle grandi squadre, prima di approdare in Portogallo. Tra riflessioni sul mondo del calcio, programmi attuali e ricordi del passato, il racconto di questa storia, però, non può che iniziare da un pensiero per la pandemia attualmente in corso.
Come ha vissuto finora questa pandemia? “In generale bene, perché grazie a Dio nessuno nella mia famiglia l’ha preso, ma sono anche molto triste per tutto ciò che sta accadendo nel mondo intero, specialmente nel mio Paese”.
Dopo una brillante carriera da giocatore, da qualche tempo ha deciso di sedersi in panchina: che squadra allena attualmente? “L’ultima squadra che ho allenato è stata lo Sportivo Luqueño della Serie A qui in Paraguay, fino a dicembre dell’anno scorso”.
Quali sono le ambizioni per il suo percorso da allenatore? “L’ambizione più importante, che penso tutti i colleghi vogliano raggiungere, è quella di diventare allenatore della Nazionale, nel mio caso del Paraguay. Certo, prima dovremo fare un percorso che penso sia necessario per raccogliere tutta l’esperienza possibile, meglio ancora se all’estero. E in questo percorso mi piacerebbe tantissimo diventare allenatore della Reggina, per tutto ciò che significa per me”.
Che differenze ha potuto notare tra l’essere giocatore e l’essere allenatore? “Ci sono molte differenze… Una in particolare di cui mi sono accorto è che non tutti gli ex calciatori possono diventare allenatori. Ho conosciuto tanti che hanno avuto una carriera eccellente da calciatori, ma poi non hanno potuto o non hanno saputo trasmettere la loro conoscenza da allenatori. Un’altra cosa molto differente è che un calciatore avrà sempre almeno un anno di contratto, indipendentemente dal fatto che giochi o meno: invece noi allenatori, se non vinciamo tre partite di seguito, potremmo andare a casa in meno di un mese (ride, ndr)”.
Torniamo indietro nel tempo. Cosa ha rappresentato per lei l’Olimpia? “L’Olimpia per me significa molto. Grazie a questa squadra meravigliosa sono potuto andare all’estero, in Portogallo, ottenere una buona remunerazione economica, giocare nella Nazionale e maturare. Gli sarò sempre grato per aver creduto in me quando ero appena un bambino”.
L’arrivo in Europa al Porto e l’incontro con José Mourinho. Quanto l’ha aiutata aver potuto lavorare con lui? “Trasferirsi dal Sudamerica all’Europa non succede spesso. Perciò arrivare al Porto è stata una sfida molto importante per me, e aver avuto l’opportunità di conoscere uno dei migliori allenatori del mondo come Mourinho è stato un momento chiave per la mia carriera”.
Finalmente l’Italia. La Reggina, l’amore di una vita: com’è nata l’idea del trasferimento in Calabria? “Quando ero al Porto avevo qualche sondaggio da squadre della Spagna, della Grecia e dell’Inghilterra, ma tra questi arrivò l’offerta della Reggina, e ho pensato: ‘L’Italia, un gioco più competitivo, con tutte le sue leggende… Mamma mia!’. E dopo aver parlato con il mio manager, abbiamo deciso di cogliere quella sfida, e non me ne pento”.
Che ricordi ha di Reggio? “Una sola intervista non basterà mai per tutti i ricordi e tutto ciò che ho da dire su Reggio Calabria. Una cosa che non dimenticherò mai sarà la passione che mi hanno trasmesso i tifosi. Ti facevano sapere sempre che erano con te ogni giorno in qualunque posto: per le vie, quando eri al supermercato, li sentivi sempre accanto a te… E poi il canto della Curva Sud di domenica in domenica, mamma mia: ogni volta che ci penso mi viene la pelle d’oca. Lì è nata anche mia figlia Paula, e per questo Reggio sarà per sempre nel mio cuore e parte della mia famiglia”.
Segue ancora oggi la squadra? “Ma come non poter seguire la Reggina?! Come aveva detto prima, ho una figlia che ha sangue calabrese. Sarebbe molto ingrato non essere interessato a una squadra e a una città che fanno parte della mia storia, che fanno parte di me. Certamente, grazie agli strumenti che ci sono oggi, possiamo seguire tutte le sue partite. Spesso parliamo anche con gli amici che abbiamo lasciato lì (un abbraccio a Maria, Giovanni, Luigi, Totò e tanti altri!)”.
Le piacerebbe un giorno tornare a Reggio, magari da allenatore? “Questa è una domanda che ho sempre in testa. Ritornare a Reggio, vedere degli amici, vedere qualche partita della squadra al Granillo… Essere allenatore della Reggina è uno dei miei sogni più grandi. Magari fra un po’ verrò da voi per fare il corso da allenatore (perché questo del Sudamerica non è compatibile), ma prima devo essere all’altezza. E poi, se vuole Dio, spero di sedermi in panchina al Granillo con la meravigliosa Curva Sud e con la Reggina nel posto in cui merita di essere: la Serie A!”.
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