Maradona è riuscito nell’impresa di trasformare una periferia nell’olimpo del calcio. El Pibe de Oro e Napoli, un destino segnato, la storia di un ragazzino di ventitré anni che ha cambiato per sempre il Calcio come lo conosciamo.
Diego Armando Maradona ha scritto la storia. Anche se i libri di testo raccontano che l’ultimo sovrano a sedere sul trono di Napoli fu Francesco II delle Due Sicilie. Almeno finché Garibaldi, con la spedizione dei mille, conquistò il sud Italia e il resto è storia che conosciamo tutti.
Se invece chiedi a un napoletano chi è stato l’ultimo vero Re di Napoli, la risposta sarà certa: Diego Armando Maradona. L’uomo che unì una città intera, dall’appassionato di calcio alla massaia che preparava il ragù, che magari una partita di calcio non l’aveva mai vista. Fra Maradona e Napoli fu un amore a prima vista, un destino già scritto nel cuore della gente. Maradona fu per Napoli un sovrano, di quelli buoni, di quelli che parlano alla gente. Un calcio che ti costringeva a fermarti, per un po’, assaporando momenti magici. Maradona fu un calcio registrato nei VHS, custodito in un cassetto, insieme ai sogni di migliaia di ragazzini.
La presentazione: gli ottantamila del San Paolo urlano a gran voce
Il 5 luglio 1984, sotto un sole cocente, ottantamila persone pagheranno la cifra simbolica di mille lire per sedersi e aspettare l’ingresso in campo di Maradona. La città freme, le notizie si rincorrono, la voglia è quella di consegnare le chiavi della città a qualcuno che viene da lontano. Un altro pianeta, un’altra galassia.
Ventitré anni, i ricci scuri che incorniciano il viso e il Vesuvio che vigila sul San Paolo. La conferenza stampa si trasformerà in una sauna, finché l’allora direttore dell’ufficio stampa Carlo Juliano annuncia al microfono “El Pibe de Oro“. Il primo piede che tocca l’erba (il sinistro ovviamente), 50 cameraman e 50 fotografi che si accalcano, Maradona che sale le scale del San Paolo. Lo stadio esplode, sancendo l’inizio di un regno che durerà sette meravigliosi, travagliati anni.
“Buonasera napoletani! Sono molto felice di essere con voi, forza Napoli!” dirà imbarazzato al microfono. Poi chiede un pallone, sette palleggi e un sinistro potente verso il cielo azzurro come non mai. La città si riversa nelle strade, i festeggiamenti sono infiniti.
Maradona scandì le ore, i giorni e trasformò una periferia in città
Maradona e Napoli. Anzi no, Maradona è Napoli. Questione di grammatica, questione di storia. Vien da chiedersi chi dei due abbia contaminato di più l’altro. Diego non si è limitato ad essere un calciatore e non si è limitato ad essere un idolo della città. Ne ha scandito le giornate, la narrazione. Ha dato alla città di Napoli una speranza. L’identificazione è stata totale, totalizzante.
Robin Hood del calcio, Maradona si è preso gli scudetti delle grandi del Nord. Ma non solo. Il suo essere un rivoltoso, un potente del calcio dalla parte dei più deboli, ha trasformato le periferie in centro. “Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono com’ero io quando vivevo a Buenos Aires“.
Un retaggio quello di Diego, cresciuto nella povertà, alla costante ricerca del metodo per togliersi di dosso l’odore di muffa che impregnava la casa di Villa Fiorito. A suon di gol, assist e prodezze Maradona ha realizzato i sogni altrui. Ha dato una speranza ai ragazzi, che nei campetti lo imitavano. A Napoli, lui è El Diego de la gente. Una medicina prodigiosa, una religione laica da osservare rispettosamente la domenica.
Morire a 60 anni, dopo aver passato una vita con la salute appesa ad un filo, ha contribuito a rendere eterno il mito del ragazzo d’oro. Così che oggi, i ragazzi, potranno sognare ancora più in grande. Diego vive nel cuore della gente, nel sogno di toccare un giorno l’erba dello stadio Diego Armando Maradona.
Uno stadio dove risuona ancora, in eterno, un elegante “O mamma mamma mamma , sai perché…”.