Il decadimento digitale che sta facendo marcire il web

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Interi ecosistemi di conoscenze, tracce storiche, emozioni personali, testimonianze sociali, aziendali, economiche, politiche, sportive, educative e chi più ne ha più ne metta stanno scomparendo. Evaporano, letteralmente, uno dopo l'altro. Peggio del “blip” della Marvel, che almeno ha colpito solo la metà degli esseri viventi. Qui, però, è a rischio l’intera storia sociale dell’umanità connessa. Tutto quello che abbiamo costruito online dal 1994 a oggi è a rischio: trent'anni di storia che stanno evaporando.

Stiamo perdendo il web, un milione di pagine alla volta. Si tratta di un processo praticamente inarrestabile, definito “decadimento digitale” e che non potrà che accelerare ancora più rapidamente nei prossimi mesi e anni. Ne parlavamo l'altro giorno di Google e dell'intelligenza artificiale che ucciderà il web, ma la realtà la situazione è molto più gravecome spiega uno studio appena pubblicato.

Le dimensioni della malattia

Secondo una ricerca appena pubblicata dal Pew Research Center, il 38% delle pagine web esistenti nel 2013 non sono più accessibili un decennio dopo. Ancora: l’8% delle pagine pubblicate nel 2023 oggi non sono più accessibili. Il 23% delle pagine contengono notizie, pubblicate da giornali e altre organizzazioni giornalistiche, contenere almeno un collegamento “interrotto”.. Si riferiscono a qualcosa che non esiste più. E il 21% delle pagine della Pubblica Amministrazione ha link in uscita che non funzionano.

Non finisce qui perché non parliamo solo delle pagine web dei siti tradizionali. La stessa cosa accade anche con i socialcioè le piattaforme in cui abbiamo caricato le nostre storie, le nostre speranze, i nostri desideri e spesso anche i nostri ricordi.

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Grazie alla ricerca si scopre che quasi un tweet su cinque non è più visibile pubblicamente sul sito pochi mesi dopo la pubblicazione. La maggior parte dei tweet rimossi dal sito tendono a scomparire poco dopo la pubblicazione. L’1% dei tweet viene rimosso entro un’ora, il 3% entro un giorno, il 10% entro una settimana e il 15% entro un mese.

E poi il serbatoio del sapere enciclopedico, Wikipedia. Che, nel bene e nel male (spesso con una qualità non eccellente ma sicuramente con un’ampiezza di copertura senza eguali), contiene quasi tutto ciò che possiamo sapere: ebbene, più della metà delle voci di Wikipedia (il 56%, per la precisione) hanno almeno un collegamento interrotto nei riferimenti bibliografici.

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Immagine del Pew Research Center

Il grande freddo dell'oblio

La situazione è decisamente disperata. Questa esplosione di cancellazioni non ha precedenti nella storia umana. Andare a distruggere le biblioteche dell'antichità, come Alessandria d'Egitto, al confronto era uno scherzo. Qui scompare il primato della memoria che non è solo testuale ma anche visiva (fotografie, video, disegni) e sonora. Scompare la traccia, l’impronta sulla sabbia del tempo di un’intera epoca, prima ancora che l’acqua del mare della vita possa cancellarla.

Come potranno mai gli storici di domani, ma anche quelli di oggi, ritrovare le tracce e i significati che sono stati espressi dalla generazione digitale, cioè quella generazione di persone che per la prima volta ha deciso di trasferire tutti i suoi pensieri dalla carta ai pezzetti. E ne generano anche molti altri che non sono mai stati “trattenuti” o catturati da nessuna parte prima. Poi renderli disponibili al resto dell’umanità.

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Tutta quella bontà adesso scompare così, senza ragione e senza senso. Lasciando un vuoto imbarazzante, la sensazione di una mancanza, una forma di amnesia collettiva che probabilmente non ci permette più nemmeno di ricordare che c'era qualcosa che abbiamo perso. È l'angelo dell'oblioche vola silenzioso sopra di noi e toglie ogni speranza di ricordare e quindi di esistere a chi ha la fortuna di trovarsi sotto le sue ali.

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Immagine del Pew Research Center

Conclusioni

Molte volte ci siamo chiesti dove sia andata a finire tutta quella grande bellezza del web, quei pascoli apparentemente infiniti di pagine contenente immagini, racconti, articoli, racconti, divagazioni, dialoghi, contrasti, dissing e tante altre cose.

A poco a poco, man mano che la parte abitata della rete cresceva, era chiaro che ci sarebbero stati sempre più spazi “chiusi”, recintati dalle grandi banchine. Lo abbiamo visto con Facebook e Twitter (ora X), per così dire. Ma la rete aveva sempre mantenuto la sua centralità anche perché mettere le cose in rete significava consegnarle alla storia, creare punti di riferimento sopravvissuti al passaggio temporale e a tutti gli altri sconvolgimenti digitali, dai bradisismi alle vere e proprie erosioni.

E invece no, anche la foresta pluviale digitale del web va incontro rapidamente al suo destino. Un destino che non ci è affatto amico. Un destino in cui la probabilità che alcune cose per noi importanti che abbiamo letto o visto online (cioè sul web) o addirittura che sono stati scritti da noi online su questo o quel sito scomparire per sempre è enorme. Praticamente una certezza.

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Immagine del Pew Research Center

La grande bellezza del digitale

Questo è un disastro. Che ci avevano annunciato tempo fa tutte quelle Cassandre che parlavano della transitorietà del digitale. Succede dagli anni 2000da quando la fotografia si è trasformata in digitale, da quando le email e WhatsApp hanno sostituito lettere e cartoline. Poiché le Cassandre hanno capito che il digitale non aveva la stessa resilienza dell'analogico.

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Niente più scatole da scarpe in soffitta piene di lettere e foto. Oggi i contenuti della folla, quelli creati dalle persone “normali”, come tutti gli altri, si sono moltiplicati per mille. Ma sono diventati anche molto fragili, effimeri, condannati a una rapida scomparsa. Il colpo finale lo darà sicuramente l'AI, come dicevamo, con la complicità dei grandi motori di ricerca (Ehi Google, stiamo parlando di te).

Tuttavia, un giorno, se questa pagina sarà ancora in qualche modo leggibile, come un frammento della lirica di Mimnermos o una tavoletta contabile accadica, il futuro lettore dovrebbe sapere che tutto è iniziato così. Con pagine web offline per sempre, sempre più veloci.

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Immagine del Pew Research Center

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