Da mesi piovono critiche a dirotto sull’operato della dirigenza juventina circa il progetto intrapreso sotto la guida di Andrea Pirlo. In tutto questo sono stati già 2 i trofei accaparrati dal tecnico bresciano.
Siamo sicuri del fatto che il progetto Juve non prevedesse proprio gli esiti raggiunti? Non è forse possibile che la dirigenza bianconera abbia volutamente compiuto determinate scelte al fine di ottenere tali, ad avviso di tifosi ed esperti, mediocri riconoscimenti? Ripartiamo da zero. E adesso puntiamo la lente di ingrandimento su una società insoddisfatta del lavoro e dell’impatto di un maestro del gioco (cfr. Maurizio Sarri) e desiderosa, dopo ben 9 scudetti consecutivi, di riaprire un ciclo, data l’inevitabile conclusione del precedente. Dati alla mano, strategie societarie e sessioni di calciomercato hanno sfibrato l’essenza degli ultimi anni della Vecchia Signora, garantendo un ringiovanimento della rosa ma, inevitabilmente, anche una privazione di essenziale esperienza internazionale. Accanto alle formulazioni teoriche, è possibile individuare gli elementi cardine di questa ricostruzione: dall’addio di giocatori imprescindibili quali Higuaìn, Matuidi, Khedira, Pjanic… all’approdo di talenti dalla tenera età quali Kulusevski, Chiesa, Mckennie e Arthur.
Rispetto a ciò che è stato detto, non appare chiara l’intenzione di rifondare una prevedibile e, ormai, poco temuta Vecchia Signora?
Tralasciando le critiche che da sempre inondano il terreno di lavoro di tecnici e professionisti, appare utile proporre una valutazione che tenga conto di fattori spesso poco considerati. Innanzitutto iniziamo dal nome affibbiato alla panchina bianconera: si tratta di Andrea Pirlo, ex calciatore di 41 anni, prossimo a sostenere gli esami per il conseguimento del patentino da allenatore; seppur privo di esperienza in una qualsivoglia area tecnica, il profilo appare soddisfare i dirigenti della Juventus. Che sia chiaro un nome come il suo, è innegabile ammetterlo, ha infiammato gli animi dei nostalgici sin dal primo sospiro, portando, assieme a sogni di gloria e desideri, alte aspettative e concreti paragoni con i grandi quali Arrigo Sacchi o Zinedine Zidane. Il Maestro conosce il calcio, ha vissuto la tattica, facendo della costruzione del gioco un marchio di fabbrica indelebile: proprio queste parole hanno invaso la testa di ciascuno di noi, sperando di vedere, per la prima volta dopo tanto tempo, un gioco in grado di stupire, vincere e affascinare.
Tornando dall’iperuranio, adesso proviamo a unire questi dati, aggiungendo magari qualche altra valutazione, e vediamo quale risultato ne viene fuori.
Allenatore alla sua prima esperienza, calciatori giovani e non abituati a ruoli di protagonismo in compagini di tale storia e peso, strategie di gioco e tattiche da ridisegnare, obiettivi minimi richiesti da società e tifosi: in mezzo a tutti questi parametri si è avviato il percorso Juve, rivolto a fare il meglio possibile in davvero poco tempo. Considerando l’Inter di Antonio Conte, di certo uno dei più grandi allenatori italiani dell’ultimo decennio, sono stati necessari due anni per aggiudicarsi uno scudetto, trascurando e abbandonando prematuramente altre competizioni non totalmente disdegnate dall’ex campione del mondo. Lungi dal fare paragoni così semplicistici, è chiaro che intraprendere un progetto richieda tempo, serietà, professionalità e tanto lavoro. Affinché un allenatore possa raggiungere degli obiettivi, è necessario che questi abbia i calciatori richiesti e che possa farli calare completamente nella propria idea di gioco (vd. il caso Papu Gomez: un, a prima vista, così pesante sacrificio ha invece potenziato la compagine, permettendo ai bergamaschi e al Gasp di esprimersi al meglio).
Siamo arrivati alla tappa finale del nostro percorso: analizzando i progressi raggiunti da Pirlo e i traguardi conquistati, è giusto parlare di stagione fallimentare?
Dalla Vecchia Signora ci si aspetta sempre tanto e questo è palese: nell’arco di una sola stagione Pirlo, con giocatori meno collaudati rispetto agli ultimi anni, ha portato a casa una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana, imponendosi su squadre più organizzate e progettate quali Napoli e Atalanta. Alcuni parlano di fortuna del principiante, altri di spirito Juve: se c’è una cosa che abbiamo imparato è che il passato bianconero sa spronare i giocatori come ben altro, è un onore indossare questa maglia, è un onore vincere per i suoi tifosi. La vittoria di ieri non ha certo eliminato i meriti della Dea, né cancellato i limiti degli juventini alle prese ancora con un’ultima sfida dal sapore di sangue e di sopravvivenza (di Pirlo, si intende). Certamente gli errori della dirigenza sono stati molti e, data la necessità di vincere, un altro nome, forse, sarebbe stato più azzeccato; tra l’altro la campagna acquisti ha presentato alcune lacune, lasciando sguarniti molti reparti del team. Il passato non si può cancellare, ma si può e si deve utilizzare per migliorare il futuro: e forse ripartire dal buono del bresciano, affiancando appoggio costante e scelte lungimiranti può essere la scelta migliore per ritornare a far brillare quel bianco che abbraccia il nero. Ah… se solo in Italia gli allenatori avessero il tempo di… di… ecco allenare.